La frase del mese...

“Ma i moralisti han chiuso i bar e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori: è bello ritornar "normalità", è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!” (Francesco Guccini)

giovedì 4 gennaio 2018

Ho voluto la mia solitudine - Pier Paolo Pasolini


Ho voluto la mia solitudine
sono senza amore, mentre, barbaro
o miseramente borghese, il mondo è pieno,
pieno d’amore…
e sono qui solo come un animale
senza nome: da nulla consacrato,
non appartenente a nessuno,
libero di una libertà che mi ha massacrato.


mercoledì 20 dicembre 2017

On my road...




Da trent’anni ogni mattina ti svegli pensando che devi andare e non fermarti finché non sei arrivato; da sempre ogni giorno trovi al tuo fianco il compagno di viaggio di turno che chiede dove siete diretti; da sempre pensi quanto sia difficile spiegare, pensi quanto tu non voglia spiegare; che una meta non è tangibile, che le parole non bastano a descrivere l’emozione del viaggio, lo stupore dell’arrivo, la perfezione del finale. 

Vivi consapevole di dover andare ma a quella benedetta domanda non hai mai saputo rispondere, hai sempre preferito il silenzio, un silenzio in cui nessuno pone quesiti, un silenzio in cui si ha già consapevolezza della meta, una meta che non esiste. Non hai mai saputo dove, ma sai che devi andare lasciandoti ubriacare dal contagioso entusiasmo del viaggio. Ti sei messo sulla strada, hai accettato compagni di cammino che hai lasciato miglia indietro, li hai staccati uno dietro l’altro senza mai curarti dell’abbandono. 

Hai provato ad accogliere, a forzare, a comprendere, ma non hai mai concesso a nessuno di ridimensionare il tuo viaggio, di imporre tappe intermedie, indesiderate, di proporre la propria idea di meta, di insinuarsi tra te e il piacere dell’attesa di quella meta sconosciuta. Ti chiedi se il viaggio possa proprio essere metafora dell’attesa, se il tuo viaggio non conosce meta poiché la tua meta è il viaggio stesso. Sei chiaramente consapevole che “chi si ferma è perduto”, ma sai bene che chi non si ferma mai potrebbe perdersi tutto. 

Pensi quanto sia il caso di continuare anche senza compagni di viaggio, ti convinci che nonostante tutto ne vale la pena, te ne fai una ragione, riparti. Il tuo viaggio ti porta per la terza volta in Spagna, stavolta nella capitale, finisci per studiare lo spagnolo, scopri che “aspettare” si traduce “esperar”. Comprendi quindi che non sei l’unico a pensare che l’attesa possa essere allo stesso tempo speranza; capisci che per te è stato così sin dal principio. 

Hai viaggiato, atteso, sperato, dovevi solo rendertene conto, dovevi solo realizzare che lì sulla strada del tuo viaggio non bastava tirar dritto da solo verso una meta sconosciuta, era bensì necessario accompagnarti a qualcuno che tirava dritto nella tua stessa direzione, anch'egli senza una destinazione precisa, spinto esclusivamente dal piacere della scoperta. 

Adesso continui a essere convinto di dover andare e non fermarti finchè non sei arrivato; sei però consapevole che non arriverai mai a destinazione, non vuoi più arrivarci in realtà; hai compreso che la meta non sta nel traguardo finale, ma nel compagno con cui perderti in quel viaggio. 

A Letizia

domenica 29 maggio 2016

Partire è come arrivare...



Partire è come arrivare. Il giorno in cui inizi a riempire la prima valigia, che ti accompagnerà nel breve ma intenso viaggio che ti riporterà a casa, è lo stesso giorno in cui da quella valigia hai tirato fuori quella camicia, la più bella, da indossare per presentarti in formissima al primo appuntamento di una nuova entusiasmante esperienza lavorativa. 

Stessa atmosfera, stessi profumi, stessi pensieri ti si presentano nuovamente, come quando apri e riapri in quella soffitta la scatola in cui ancora custodisci i tuoi giocattoli da bambino sorridente; ormai, però, sei tanto adulto quanto consapevole che sei in procinto, per l’ennesima volta, nella tua anagraficamente breve vita, di virare in modo ruvido, anche maldestro forse, verso mete conosciute e adesso di nuovo sconosciute. 

La consapevolezza del tuo essere sfrontato nello sfidare il destino, pronto a perdere ma battagliero per guadagnare l’eventuale meritata vittoria, ti tiene compagnia in tutte quelle notti in cui solo con te stesso, riempiendoti il bicchiere,  devi fare i conti con l’ennesimo domani. Mille volte il fato in questi 14 mesi ti ha strattonato dai capelli, seppur corti e quasi inafferrabili, ti ha sferrato colpi molto bassi, ti ha mancato di rispetto nel senso crudele del termine, volgendo ad un solo fine ogni sua mossa: il tuo forzato rientro; fato spavaldo, beffardo, sicuro di prevalere e vincere, ma Resistere è la cosa che sai fare meglio, subire il colpo, barcollare magari, poggiare il ginocchio a terra come il pugile in difficoltà dopo una jab, ti viene benissimo, ad arte. 

L’umiltà trasmessa dalla tua famiglia ha permesso di costruirti una certezza, la prima pietra su cui hai modellato passo dopo passo la tua anima, “mai tornare indietro, neppure per prendere la rincorsa”. Ed allora è Avanti che sei andato, l’unico moto per te plausibile, lento incedere magari, ma Avanti verso l'ennesimo domani solo perchè sei vivo, malinconicamente sorridente, ma vivo più di tutti gli altri, preparato a rispondere perentoriamente ad ogni ulteriore inaspettata e strategica mossa tesa a manifestare crudeltà e supremazia del fato. 

Non essere per niente preoccupato, è vero noi siamo gente che finisce male, ma l’importante è sapere quando e come uscire di scena e farlo sempre, continuamente, solo uscendo di scena chi ti guarda inerme dalla parte del pubblico prova invocare un bis a cui, almeno in questa vita, non assisterà mai. 

Pensa, invece, che sarebbe adesso ora di tornarsene a casa e ricorda, nel chiudere quella benedetta valigia, di metter dentro quel pianto sorridente che avevi stampato in viso il giorno del tuo arrivo a Stansed, quei 10 secondi senza fiato alla prima vista del Big Ben, la meraviglia dell’Albert Dock di Liverpool, il Trinity College di Cambridge, i crazy flatemates neozelandesi, la Bisbetica Domata al Globe, quella ragazza australiana slang teacher, il supervisor-amico, il lead department iraqeno ed il suo “things like that”, il primo vero paper pubblicato, il tuo nome su pubmed in mezzo a medici stranieri, lo Slug, l’O’Neill ed il suo live rock, le pietre di Stonehenge, le nurses Maddy and Penny, Aldo Giovanni e Gioacomo all’Apollo Theatre con quell profumo d’Italia così intenso che c’era da commuoversi, tuo zio che fino alla fine ha lottato come un leone, tuo padre che un leone non è ma vincerà la sua battaglia, States of Mind, il tuo 32° compleanno, quel cappello in quella foto davanti al St. Thomas, Abbey Road, il The Cavern, Il lab e gli esperimenti sui topi, il topo in cucina, Anna the Queen, la battaglia dei Junior Doctors, lo Shard in compagnia della persona che nonostante tutto, più di tutti ti ama sulla faccia di questo pianeta, Freddy ed il suo Garden Lock, la Lumière in quella notte d’inverno, tuo fratello e la sua colazione all’inglese pagata e non consumata, tua madre “Celia”, tua zia e le tue cugine che ti aspettano come un figlio, tuo nonno che crede tu sia un extraterreste e non si capacita come sei sopravvissuto 16 mesi fuori dal tuo paese, il Gordon’s Wine Bar, Italia-Francia 10-32, ma a Twickenham, il Notting Hill Carnival, il Surrey e la sua University, Birmingham, Richmond Park, Valencia ed il colloquio con il sorriso stampatissimo in viso con quel signore che non ha creduto in te, il prof. PJ G, Giorgio, Stefano e Matteo, il sogno di Camden Town, il Thames’ path di Hammersmith, l’albero della mela di Newton, Oxford, Harrogate e l’afternoon tea, Brighton e le giostre sul pontile, la tua amica colombiana emicranica, i tuoi pazienti, il tuo funny accent, l’Ungheria, il tuo esame di inglese, la BASH society, la ricerca del bidet, la voglia quotidiana d’Italia, l’affetto e i pianti dei colleghi e delle nurses quando hai annunciato il tuo leaving, la festicciola a sorpresa che ti hanno organizzato, quel biglietto che custodisci come un tesoro con il loro Goodbye. 

Prova a mettere dentro la tua valigia tutto questo e le mille altre cose che per questioni di spazio non ho potuto elencare, prova a farlo e solo allora capirai come alcune valigie non si possono chiudere, bisogna lasciarle aperte a metà, pronte ad accogliere il prossimo domani. 

In bocca al lupo amico mio!