La frase del mese...

“Ma i moralisti han chiuso i bar e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori: è bello ritornar "normalità", è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!” (Francesco Guccini)

mercoledì 20 dicembre 2017

On my road...




Da trent’anni ogni mattina ti svegli pensando che devi andare e non fermarti finché non sei arrivato; da sempre ogni giorno trovi al tuo fianco il compagno di viaggio di turno che chiede dove siete diretti; da sempre pensi quanto sia difficile spiegare, pensi quanto tu non voglia spiegare; che una meta non è tangibile, che le parole non bastano a descrivere l’emozione del viaggio, lo stupore dell’arrivo, la perfezione del finale. 

Vivi consapevole di dover andare ma a quella benedetta domanda non hai mai saputo rispondere, hai sempre preferito il silenzio, un silenzio in cui nessuno pone quesiti, un silenzio in cui si ha già consapevolezza della meta, una meta che non esiste. Non hai mai saputo dove, ma sai che devi andare lasciandoti ubriacare dal contagioso entusiasmo del viaggio. Ti sei messo sulla strada, hai accettato compagni di cammino che hai lasciato miglia indietro, li hai staccati uno dietro l’altro senza mai curarti dell’abbandono. 

Hai provato ad accogliere, a forzare, a comprendere, ma non hai mai concesso a nessuno di ridimensionare il tuo viaggio, di imporre tappe intermedie, indesiderate, di proporre la propria idea di meta, di insinuarsi tra te e il piacere dell’attesa di quella meta sconosciuta. Ti chiedi se il viaggio possa proprio essere metafora dell’attesa, se il tuo viaggio non conosce meta poiché la tua meta è il viaggio stesso. Sei chiaramente consapevole che “chi si ferma è perduto”, ma sai bene che chi non si ferma mai potrebbe perdersi tutto. 

Pensi quanto sia il caso di continuare anche senza compagni di viaggio, ti convinci che nonostante tutto ne vale la pena, te ne fai una ragione, riparti. Il tuo viaggio ti porta per la terza volta in Spagna, stavolta nella capitale, finisci per studiare lo spagnolo, scopri che “aspettare” si traduce “esperar”. Comprendi quindi che non sei l’unico a pensare che l’attesa possa essere allo stesso tempo speranza; capisci che per te è stato così sin dal principio. 

Hai viaggiato, atteso, sperato, dovevi solo rendertene conto, dovevi solo realizzare che lì sulla strada del tuo viaggio non bastava tirar dritto da solo verso una meta sconosciuta, era bensì necessario accompagnarti a qualcuno che tirava dritto nella tua stessa direzione, anch'egli senza una destinazione precisa, spinto esclusivamente dal piacere della scoperta. 

Adesso continui a essere convinto di dover andare e non fermarti finchè non sei arrivato; sei però consapevole che non arriverai mai a destinazione, non vuoi più arrivarci in realtà; hai compreso che la meta non sta nel traguardo finale, ma nel compagno con cui perderti in quel viaggio. 

A Letizia