La frase del mese...

“Ma i moralisti han chiuso i bar e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori: è bello ritornar "normalità", è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!” (Francesco Guccini)

venerdì 10 ottobre 2008

Diario di un medico : un mestiere di sfide


In libreria dal 7 ottobre, “Con cura” di Atul Gawande (Einaudi, 242 pagine, 18€): casi avvincenti e riflessioni sul mestiere di medico.
Atul Gawande, medico chirurgo di origine indiana, lavora al Brigham and women’s hospital di Boston ed è assistent professor alla Harvard medical school. Il suo primo lobro è stato “Salvo complicazioni”.

In prima persona uno dei più noti chirurghi americani racconta, in un diario appassionante la sua professione attraverso casi di malati e situazioni critiche; e si interroga su come sia possibile evitare errori e superare ostacoli.

Di seguito una storia tratta dal libro:

Da quasi quarant’anni il centro per la fibrosi cistica del Fairview-University children hospital è diretto da Warren Warwick, il pediatra che più di chiunque altro si è dedicato a studiare l’incredibile successo delle terapie di Le-Roy Matthews. Il segreto, mi dice, è semplice e l’ha imparato da Matthews: fa tutto quello che puoi per tenere il più possibile aperti i polmoni dei tuoi pazienti.

Al Fairview si prescrivono ai malati le solite cose: farmaci nebulizzati per fluidificare le secrezioni e tenere sgombre le vie respiratorie, antibiotici e un buon tamburella mento sul torace ogni giorno. Eppure, c’era qualcosa di diverso in tutto ciò che Warwick faceva.
Un pomeriggio l’ho raggiunto in ambulatorio mentre si apprestava al consueto controllo trimestrale di una studentessa di 17 anni, Janelle. La fibrosi cistica le fu diagnosticata all’età di 6 anni e da allora è sempre stata in cura da lui. Capelli neri tinti lunghi fino alle spalle affilate, eyeliner nero Avril Lavigne, quattro orecchini in ogni orecchio, altri due in un sopracciglio e una piccola borchia sulla lingua. Warwick aveva 76 anni, era alto, curvo, piuttosto trasandato nella vecchia giacca di tweed, aveva chiazze scure sulla pelle e capelli grigi brizzolati, insomma l’inequivocabile aspetto di un tremulo accademico del secolo scorso. Restò un attimo fermo davanti a lei con le mani sui fianchi, poi disse: “Allora Janelle, cos’hai fatto per noi? Per farci restare il miglior centro del paese per la fibrosi cistica?”.
“Be’, non è facile” disse lei.

Uno scambio di battute. Comunque stava bene, a scuola tutto bene. Warwick tirò fuori l’utima misurazione della funzionalità polmonare. Un leggero calo, come nel caso di Alyssa. Tre mesi prima, Janelle era al 109 per cento (meglio dunque della media dei bambini non affetti da fibrosi cistica), adesso era al 90 per cento. Un dato buono, e comunque bisogna aspettarsi qualche oscillazione. Ma Wrwick non la vedeva così.
Si accigliò. “Com’è che c’è questa riduzione?” domandò.
Janelle si strinse nelle spalle.

Tosse ultimamente? No. Raffreddori? No. Febbre? No. Era certa di avere preso regolarmente i farmaci? Sì, certo. Tutti i giorni? Sì. Non se ne dimenticava mai? Be’, certo, capita a tutti ogni tanto. Quanto spesso è di tanto in tanto? A poco a poco Warwick le tirò fuori una storia tutta diversa: negli ultimi mesi praticamente non aveva preso lo medicine.
Warwick la incalzò: “Perché non prendi le medicine?”.

Non sembrava né sorpreso né in collera, solo genuinamente curioso, come se non si fosse mai imbattuto in una situazione così interessante.
“Non lo so”.
Insistette: “Che cosa ti impedisce di prendere le medicine?”
“Non lo so”.
“E qui dentro” indicò la propria testa “cosa sta succedendo?”.
“Non-lo-so” scandì lei.
Warwick rimase zitto per un momento, poi si girò verso di me, adottando un’altra linea di condotta. “Il problema con i malati di fibrosi cistica è che sono dei buoni scienziati” disse. “Fanno continui esperimenti. E mentre loro sperimentano a noi tocca di aiutarli a interpretare ciò che sperimentano. Smettono la terapia e cosa succede? Che non stanno male, perciò decidono che il dottor Warwick dà i numeri”.

“Ma diamo un’occhiata ai numeri” mi disse, ignorando Janelle. Si avvicinò a una piccola lavagna appesa alla parete. Sembrava molto usata. “Il rischio quotidiano di prendersi un’infezione polmonare per chi soffre di fibrosi cistica è dello 0,05 per cento”. Scrisse quella cifra. Janelle roteò gli occhi e cominciò a battere un piede.
“Il rischio quotidiano di prendersi un’infezione polmonare quando si è in terapia per la fibrosi cistica è dello 0,05 per cento” proseguì, e scrisse quella cifra. “Perciò quando uno sperimenta, ciò che vede è la differenza tra un 99,5 per cento e un 99,95 percento di probabilità di star bene. Sembra poca cosa, vero? Praticamente ogni giorno si ha quasi il 100 per cento di probabilità di star bene. Invece…” tacque e fece un passo verso di me “è una grossa differenza”. Scarabocchiò dei calcoli. “Moltiplica per i giorni di un anno e la differenza cambia, passa dall’83 per cento di probabilità di star bene al 16 per cento soltanto”.

Si rivolse a Janelle. “Come fai a star bene tutta la vita? Come fai a diventare una paziente geriatrica?” chiese.
Lei finalmente smise di battere il piede. “Io non posso prometterti niente, posso solo farti vedere la differenza”.
Quel discorsetto conteneva il nocciolo della visione del mondo di Warwick. Pensava che l’eccellenza venga dal saper vedere, quotidianamente, la differenza tra 99,5 e 99,95 per cento. Molte cose che fanno gli esseri umani, acchiappare una palla al volo, fabbricare microchip, consegnare pacchi nell’arco della notte, dipendono da analoghe, infinitesimali differenze. Ciò che contraddistingue la medicina è che in quei margini sottili si perdono delle vite.

Perciò Warwick si ostinò a cercare quel margine per Janelle. Alla fine scoprì che aveva un ragazzo, e anche un nuovo lavoro, e che lavorava la sera. Il ragazzo abitava per conto suo e lei stava quasi sempre da lui o da un’amica, perciò passava di rado a casa per le cure. A scuola, un nuovo regolamento le imponeva di andare in infermeria per ogni dose che doveva assumere durante il giorno. Così aveva lasciato perdere.
“È un tormento!” disse. Scoprì che prendeva certe medicine e non altre. E prendeva le vitamine. “Perché le vitamine?” volle sapere Warwick. “Perché mi va, sono una favola”. Tutto il resto l’aveva lasciato perdere.

Warwick le propose un patto: sarebbe andata a casa ogni giorno dopo la scuola per la terapia manuale e avrebbe chiesto alla sua migliore amica di fargliela. Avrebbe tenuto in tasca o nella borsa i medicinali più importanti e li avrebbe presi da sola. “L’infermiera non me lo permetterà” disse lei. “Basta non dirglielo” suggerì lui spontaneamente, trasformando la cura in un atto di ribellione. Fin lì Janelle non fece obiezioni. Ma c’era un’altra cosa, doveva restare in ospedale per qualche giorno di terapia allo scopo di recuperare il terreno perduto.

“Oggi?”.
“Sì, oggi”.
“Perché non domani?”.
“Abbiamo sbagliato, Janelle” le rispose. “È importante riconoscere di aver sbagliato”.
Al che lei si mise a piangere.

Un requisito per il successo è l’ingegnosità: saper pensare in modo nuovo, riconoscere il fallimento e cambiare.

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