La frase del mese...
“Ma i moralisti han chiuso i bar e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori: è bello ritornar "normalità", è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!” (Francesco Guccini)
domenica 21 ottobre 2012
Fiume Sand Creek - di F. De Andrè
Fiume Sand Creek ha per tema un reale massacro di pellerossa, avvenuto il 29 novembre 1864, quando alcune truppe della milizia del Colorado, comandate dal colonnello John Chivington, attaccarono un villaggio di Cheyenne e Arapaho, massacrando donne e bambini; l'episodio è raccontato attraverso il linguaggio innocente e forse un po' surreale di un bambino vittima dell'avvenimento.
Eccovi il testo della canzone:
Si sono presi i nostri cuori sotto una coperta scura sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura fu un generale di vent'anni, occhi turchini e giacca uguale fu un generale di vent'anni, figlio di un temporale c'e' un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte e quella musica distante divento' sempre piu' forte chiusi gli occhi per tre volte, mi ritrovai ancora li' chiesi a mio nonno:"E' solo un sogno?", mio nonno disse "Si'" a volte i pesci cantano nel letto del Sand Creek Sognai talmente forte che mi usci' il sangue dal naso il lampo in un orecchio, nell'altro il paradiso le lacrime piu' piccole, le lacrime piu' grosse quando l'albero della neve fiori' di stelle rosse ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek Quando il sole alzo' la testa sulle spalle della notte c'erano solo cani e fumo e tende capovolte tirai una freccia al cielo per farlo respirare tirai una freccia al vento per farlo sanguinare la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek Si son presi i nostri cuori sotto una coperta scura sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura fu un generale di vent'anni, occhi turchini e giacca uguale fu un generale di vent'anni, figlio di un temporale ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek
Manto nero - di Bruce Beresford
Dal romanzo di Brian Moore, sceneggiato dall'autore. Nel 1643 il padre gesuita Laforgues, accompagnato da un gruppo di indiani algonchini, deve raggiungere la sua missione in una zona remota del Quebec. Lungo viaggio faticoso e sanguinoso. Pessimista sulla coabitazione di culture diverse, impietoso nel mostrare gli orrori violenti che il cinema hollywoodiano d'avventure non ha mai raccontato, è un film ambizioso, interessante a livello storico, ma penalizzato e raffreddato da una regia tradizionale e poco inventiva. Bella fotografia di Peter James, musiche di G. Delerue.
Fonte: Mymovies
"Le Gorille" - Georges Brassens
"Le Gorille" di Georges Brassens.
C'est à travers de larges grilles, Que les femelles du canton, Contemplaient un puissant gorille, Sans souci du qu'en-dira-t-on. Avec impudeur, ces commères Lorgnaient même un endroit précis Que, rigoureusement ma mère M'a défendu de nommer ici... Gare au gorille !... Tout à coup la prison bien close Où vivait le bel animal S'ouvre, on n'sait pourquoi. Je suppose Qu'on avait du la fermer mal. Le singe, en sortant de sa cage Dit "C'est aujourd'hui que j'le perds !" Il parlait de son pucelage, Vous aviez deviné, j'espère ! Gare au gorille !... L'patron de la ménagerie Criait, éperdu : "Nom de nom ! C'est assommant car le gorille N'a jamais connu de guenon !" Dès que la féminine engeance Sut que le singe était puceau, Au lieu de profiter de la chance, Elle fit feu des deux fuseaux ! Gare au gorille !... Celles là même qui, naguère, Le couvaient d'un œil décidé, Fuirent, prouvant qu'elles n'avaient guère De la suite dans les idées ; D'autant plus vaine était leur crainte, Que le gorille est un luron Supérieur à l'homme dans l'étreinte, Bien des femmes vous le diront ! Gare au gorille !... Tout le monde se précipite Hors d'atteinte du singe en rut, Sauf une vielle décrépite Et un jeune juge en bois brut; Voyant que toutes se dérobent, Le quadrumane accéléra Son dandinement vers les robes De la vieille et du magistrat ! Gare au gorille !... "Bah ! soupirait la centenaire, Qu'on puisse encore me désirer, Ce serait extraordinaire, Et, pour tout dire, inespéré !" ; Le juge pensait, impassible, "Qu'on me prenne pour une guenon, C'est complètement impossible..." La suite lui prouva que non ! Gare au gorille !... Supposez que l'un de vous puisse être, Comme le singe, obligé de Violer un juge ou une ancêtre, Lequel choisirait-il des deux ? Qu'une alternative pareille, Un de ces quatres jours, m'échoie, C'est, j'en suis convaincu, la vieille Qui sera l'objet de mon choix ! Gare au gorille !... Mais, par malheur, si le gorille Aux jeux de l'amour vaut son prix, On sait qu'en revanche il ne brille Ni par le goût, ni par l'esprit. Lors, au lieu d'opter pour la vieille, Comme l'aurait fait n'importe qui, Il saisit le juge à l'oreille Et l'entraîna dans un maquis ! Gare au gorille !... La suite serait délectable, Malheureusement, je ne peux Pas la dire, et c'est regrettable, Ça nous aurait fait rire un peu ; Car le juge, au moment suprême, Criait : "Maman !", pleurait beaucoup, Comme l'homme auquel, le jour même, Il avait fait trancher le cou. Gare au gorille !...
Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera - di Kim Ki-Duk
Le favole morali sono una forma di espressione ideale per il cinema orientale.
Primavera, estate... è un'ulteriore conferma di come, attraverso simboli e metafore, sia possibile fare cinema con semplicità e leggerezza, senza dimenticare le emozioni.
E' il racconto della vita che si svolge in un luogo non luogo, immerso nella natura di Taiwan. In una casa-isola su un laghetto si svolgono gli insegnamenti e le esperienze di due monaci, uno adulto e uno giovane. Le stagioni passano, e ognuna di esse è un periodo dell'esistenza, vissuta fra felicità e dramma, sotto la veglia di un'immancabile e insostituibile spiritualità.
Kim-ki-duk, dopo avere diretto L'isola, ci regala un altro "quadro" perfetto (il regista è prima di tutto un pittore) sui perché dell' essere e sul trascorrere del tempo, che scandisce inesorabilmente le tappe della vita. Anche della nostra.
Fonte: Mymovies
Primavera, estate... è un'ulteriore conferma di come, attraverso simboli e metafore, sia possibile fare cinema con semplicità e leggerezza, senza dimenticare le emozioni.
E' il racconto della vita che si svolge in un luogo non luogo, immerso nella natura di Taiwan. In una casa-isola su un laghetto si svolgono gli insegnamenti e le esperienze di due monaci, uno adulto e uno giovane. Le stagioni passano, e ognuna di esse è un periodo dell'esistenza, vissuta fra felicità e dramma, sotto la veglia di un'immancabile e insostituibile spiritualità.
Kim-ki-duk, dopo avere diretto L'isola, ci regala un altro "quadro" perfetto (il regista è prima di tutto un pittore) sui perché dell' essere e sul trascorrere del tempo, che scandisce inesorabilmente le tappe della vita. Anche della nostra.
Fonte: Mymovies
Una separazione
Nader e sua moglie Simin stanno per divorziare. Hanno ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro figlia undicenne ma Nader non vuole partire. Suo padre è affetto dal morbo di Alzheimer e lui ritiene di dover restare ad aiutarlo. La moglie, se vuole, può andarsene. Simin lascia la casa e va a vivere con i suoi genitori mentre la figlia resta col padre. È necessario assumere qualcuno che si occupi dell'uomo mentre Nader è al lavoro e l'incarico viene dato a una donna che ha una figlia di cinque anni e ed è incinta. La donna lavora all'insaputa del marito ma un giorno in cui si è assentata senza permesso lasciando l'anziano legato al letto, un alterco con Nader la fa cadere per le scale e perde il bambino.
Asghar Faradhi conferma con questo film le doti di narratore già manifestate con About Elly. Non è facile fare cinema oggi in Iran soprattutto se ci si è espressi in favore di Yafar Panahi condannato per attività contrarie al regime. Ma Faradhi sa, come i veri autori, aggirare lo sguardo rapace della censura proponendoci una storia che innesca una serie di domande sotto l'apparente facciata di un conflitto familiare. Il regista non ci offre facili risposte (finale compreso) ma i problemi che pone sono di non poco conto per la società iraniana ma non solo. Certo c'è il quesito iniziale non di poco conto: per un minore è meglio cogliere l'opportunità dell'espatrio oppure restare in patria, soprattutto se femmina? Perchè le protagoniste positive finiscono con l'essere le due donne. Entrambe con i loro conflitti interiori, con il peso di una condizione femminile in una società maschilista e teocratica ma anche con il loro continuo far ricorso alla razionalità per far fronte alle difficoltà di ogni giorno. Agghiacciante nella sua apparente comicità agli occhi di un occidentale è la telefonata che la badante fa all'ufficio preposto ai comportamenti conformi alla religione per sapere se possa o meno cambiare i pantaloni del pigiama al vecchio ottantenne che si è orinato addosso. Sul fronte opposto della barricata finiscono per trovarsi gli uomini che, o sono obnubilati dalla malattia oppure finiscono con l'aggrapparsi a preconcetti che impediscono loro di percepire la realtà in modo lucido. Ciò che va oltre alla realtà iraniana è l'eterno conflitto sulla responsabilità individuale nei confronti di chi ci circonda. Ognuno dei personaggi vi viene messo di fronte e deve scegliere. Sotto lo sguardo protetto dalle lenti di una ragazzina.
Una nota a margine: il cinema iraniano è veicolo stabile di una falsificazione narrativa che sta a priori di qualsiasi sceneggiatura. Sussistendo il divieto per le donne di mostrarsi a capo scoperto in pubblico i registi sono obbligati a farle recitare con chador o foulard vari anche quando le scene si svolgono all'interno delle mura domestiche narrativamente in assenza di sguardi estranei stravolgendo quindi la rappresentazione della realtà.
Fonte: Mymovies
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